A proposito di ciclo

Congedo mestruale: a che punto siamo in Italia?

Tutte le donne in età fertile del mondo hanno le mestruazioni. Non tutte però allo stesso modo. Le più fortunate di noi, se non fosse per le perdite ematiche, potrebbero anche non accorgersi di averle, per altre invece i dolori della fase mestruale possono essere piuttosto fastidiosi, anche invalidanti, rendendo quei giorni una vera agonia.

A quanto pare quando distribuivano la fortuna, molte di noi erano in fila al bagno per cambiare l’assorbente. Circa l’80 delle donne, infatti, avverte dolore e disagio durante il ciclo mestruale. In Italia, tra il 60 e il 90% delle donne soffre di dismenorrea, termine medico utilizzato per indicare i dolori mestruali, che in alcuni casi (fino al 51% tra le più giovani) impedisce alla donna di recarsi a scuola o al lavoro.

Un’assenza più che giustificata, visti i forti dolori che forse augureremmo solo al nostro peggior nemico (non fate le finte buoniste), che però in molti paesi, tra cui anche il nostro, non costituisce ancora una valida motivazione per dare alle donne la possibilità di richiedere un congedo mestruale.

Il congedo mestruale, o menstrual leave, è a tutti gli effetti un permesso che consente alle donne che soffrono di mestruazioni dolorose, ovvero dismenorrea, e di endometriosi di assentarsi dal lavoro per un periodo di uno o più giorni per prendersi cura di sé stesse e recuperare le energie prima di ritornare a svolgere il proprio lavoro. Il tutto senza dover richiedere giorni di ferie o malattie, perché si tratta di un permesso ad hoc, che potrà essere retribuito o meno a seconda delle disposizioni previste da governo o dalla propria azienda.

Probabilmente ad alcune di noi tutto questo sembrerà fantascienza, perché in Italia ci sono sempre cose più importanti a cui dare priorità e non se ne parla granché. Tuttavia, il congedo mestruale esiste ed è realtà in alcuni paesi in giro per il mondo. Il Giappone, ad esempio, aveva già pensato al “seirikyuuka” nel 1947, nel bel mezzo di una ricostruzione post-bellica, con una legge che prevede che le aziende siano tenute ad accordare alle lavoratici tutti i giorni di cui hanno bisogno. Sono le aziende a stabilire se retribuire o meno le lavoratrici: al momento circa il 30% prevede una retribuzione totale o parziale.

A parte lo Zambia, che prevede un giorno al mese senza obbligo preavviso e di certificato medico, tutti gli altri paesi in cui il congedo mestruale è in vigore si trovano nell’area asiatica. Questo in parte è dovuto ad una credenza molto diffusa in Asia secondo cui una donna che non si riposa durante i giorni del ciclo avrà problemi con il parto e il congedo rappresenta quindi in questi paesi una sorta di protezione della natività:

  • Indonesia: due giorni di congedo mestruale retribuito al mese, senza obbligo di preavviso
  • Corea del sud: un giorno di congedo non retribuito al mese, con multe di circa 4000 dollari per le aziende che si rifiutano. Prima che la settimana lavorativa venisse ridotta da sei a cinque giorni, il congedo veniva retribuito
  • Taiwan: tre giorni di congedo mestruale all’anno, retribuiti al 50%

In questo caso sì che possiamo parlare di fantascienza. In Europa a parte qualche caso isolato di aziende che di loro spontanea volontà hanno deciso di prevedere questa possibilità per le proprie dipendenti, al momento l’unico paese in cui è previsto per legge il congedo mestruale è la Spagna. Il disegno di legge approvato dal Congresso spagnolo nel Dicembre 2022 prevede 3 giorni al mese di congedo, retribuito dallo Stato, per tutte le lavoratrici con mestruazioni particolarmente dolorose o invalidanti. Ad una condizione però: la presentazione di un certificato medico che attesti la reale presenza di sintomi invalidanti.

E adesso veniamo a noi. In realtà non è che di congedo mestruale non se ne sia mai parlato in Italia e qualche tentativo è anche stato fatto. Nel 2016 un gruppo di parlamentari ha presentato una proposta di legge sul congedo mestruale che prevede il diritto per tutte le lavoratrici che soffrono di dismenorrea, attestata da un certificato medico rinnovato e presentato ogni anno al proprio datore di lavoro, di usufruire del congedo mestruale per un massimo di 3 giorni al mese. Un congedo ovviamente ad hoc che non ha nulla a che vedere con altre cause di assenza dal lavoro, come ad esempio la malattia, e per cui dovrebbe essere prevista un’indennità pari al 100% della retribuzione giornaliera. Un diritto valido per tutte le lavoratrici con contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, a tempo pieno o parziale, a tempo indeterminato e determinato ovvero a progetto.

Peccato che il diritto sia stato previsto solo in teoria, ma non sia stato realizzato nella pratica. La legge infatti non è mai stata approvata ed è finita nel dimenticatoio. Anche se ultimamente qualcosa si è mosso anche in Italia. Sarà per il sì del governo spagnolo o perché alcune aziende italiane hanno recentemente annunciato di aver volontariamente introdotto questa possibilità per le proprie dipendenti e un liceo ha fatto altrettanto per le proprie studentesse, fatto sta che il dibattito sul congedo mestruale sembra essersi riacceso anche in Italia.

La questione che sembra riscaldare maggiormente gli animi è proprio questa. C’è chi accoglierebbe con entusiasmo l’approvazione di una legge sul congedo mestruale, altri invece temono che un provvedimento del genere possa dare adito ad ulteriori discriminazioni nei confronti delle donne. La preoccupazione è che, come avviene ancora in molti casi per la maternità, le aziende possano essere più reticenti ad assumere le donne sapendo che ogni mese per 3 giorni potrebbero rimanere a casa.

Ma non solo, c’è anche il timore di poter essere giudicate deboli e che le possibilità di avere accesso a ruoli di prestigio si riduca ulteriormente. In effetti, questi timori non sono del tutto infondati. La maggior parte delle donne asiatiche che potrebbe usufruire del congedo mestruale, preferisce non farlo. Più che un’opportunità per ottenere maggiori diritti, lo vedono come un’opportunità che gli altri potrebbero utilizzare per discriminarle maggiormente. Chissà che cosa ne penseranno le colleghe spagnole che hanno appena ottenuto questo diritto. Adesso spetta a loro scegliere da che parte stare: opportunità o discriminazione?

dina.pansini@corman.it

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