L‘agente patogeno della toxoplasmosi è il Toxoplasma Gondii, un protozoo parassita di piccole dimensioni. L’ospite definitivo del Toxoplasma è rappresentato dal gatto, mentre una grande varietà di mammiferi e uccelli costituiscono gli ospiti intermedi.
Nell’adulto non causa danni particolari e i sintomi sono molto scarsi o assenti; quando presenti, sono del tutto aspecifici (in meno del 10 % dei casi può avere debolezza e ingrossamento delle ghiandole linfatiche).
L’uomo può infettarsi sia ingerendo direttamente le spore presenti nel terreno, mediante ortaggi crudi mal lavati o per scarsa igiene delle mani, sia alimentandosi con carne cruda o poco cotta di animali infetti.
Mentre la carne di vitello è raramente infetta, il prosciutto e la carne di suino poco cotta sono probabilmente la forma più comune di infezione, ma anche il latte fresco e le uova possono contenere il parassita. Sono possibili, anche se rare, le infezioni accidentali mediante contatto con materiale infetto e penetrazione del parassita attraverso soluzioni di continuo della cute, soprattutto nel personale di laboratorio. Molto importante rimane poi il contatto diretto con i gatti; le spore emesse dai gatti con le feci resistono a lungo nei terreni umidi, mentre la loro sopravvivenza è breve se il terreno è esposto al sole o se si tratta di pavimentazione domestiche e superfici urbane.
Anche in caso di infezione primaria in gravidanza (stimata nell’1,5% delle gravidanze), le probabilità che il feto venga infettato in utero sono piuttosto limitate. Dopo un’infezione primaria in gravidanza si ha in circa il 30-50% dei casi un’infezione congenita che nella stragrande maggioranza dei casi non provocherà segni e sintomi, e solo in minima parte si manifesterà in forma clinicamente grave (epatosplenomegalia con ittero, miocardite, manifestazioni emorragiche, idrocefalo, calcificazioni cerebrali, convulsioni, corioretinite).
Il rischio che la toxoplasmosi superi la barriera placentare e possa infettare il feto è in stretta relazione con l’età gestazionale, infatti la probabilità di trasmissione materno-fetale del Toxoplasma aumenta con il progredire della gravidanza:
La gravità delle lesioni segue un andamento inverso, ovvero è tanto minore quanto più il contagio fetale è tardivo:
Nella donna che decide di intraprendere una gravidanza, la ricerca degli anticorpi anti-Toxoplasma dovrebbe essere effettuata poco prima del presumibile concepimento. Se il soggetto risulta immune, non occorrono ulteriori accertamenti nel corso della gravidanza; se, invece, i titoli anticorpali non raggiungono livelli protettivi, la paziente deve essere controllata periodicamente ogni mese fino al momento del parto con indagini sierologiche, e deve osservare specifiche misure di profilassi.
In particolare è importante:
Se nel corso della gravidanza si verifica una sieroconversione, cioè un aumento del titolo di anticorpi IgG, è essenziale confermare l’avvenuta infezione mediante ricerca degli anticorpi di classe IgM e iniziare immediatamente il trattamento. In caso di risposta positiva verrà valutato il rischio di infezione per il feto in base all’anamnesi (epoca di gestazione), a test sierologici di II livello (valutazione IgA, test di avidità delle IgG) e alla diagnosi prenatale invasiva (amniocentesi per la ricerca del Toxoplasma nel liquido amniotico a partire da 18 settimane e non prima di 4 settimane dall’avvenuta infezione materna).
Il trattamento materno dell’infezione in gravidanza è in grado di ridurre significativamente sia la percentuale di trasmissione materno-fetale della malattia che la severità dell’infezione congenita. Quando è possibile escludere l’infezione congenita mediante diagnosi prenatale in epoca precoce di gestazione (18-20 settimane), la paziente può portare a termine la gravidanza con un rischio relativamente basso per il neonato, purché venga trattata tempestivamente.
Il 96% delle gravide affette da toxoplasmosi trattate con spiramicina partorisce un neonato sano. La spiramicina è un antibiotico della classe dei macrolidi, privo di effetti tossici e teratogeni e capace di raggiungere concentrazioni placentari elevate. Il passaggio transplacentare del farmaco è piuttosto limitato e la concentrazione del farmaco nel sangue fetale è la metà rispetto a quella del sangue materno.
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