La sindrome premestruale è nota dai tempi antichi (troviamo riferimenti già negli scritti di Plinio e Ippocrate), tuttavia la prima descrizione scientifica risale al 1931. La sindrome premestruale diventa una condizione patologica quando la sua severità è tale da interferire con le normali attività e la qualità di vita, e questo per fortuna accade di rado. Se è vero, infatti, che il 40% delle donne presenta sintomi premestruali, questi però risultano clinicamente significativi solo nel 20% dei casi e invalidanti solo nel 2-3% delle donne.
Le manifestazioni della sindrome premestruale sono caratteristiche per ogni donna. Si possono riscontrare più di 150 diversi sintomi, ma i più frequenti e importanti sono:
Tutti questi sintomi non sono specifici, ciò che invece è caratteristico è la loro fluttuazione: si manifestano infatti 4-7 giorni prima della mestruazione e migliorano o scompaiono con l’inizio di questa.
L’eziologia della sindrome non è nota ma è probabile, data la sua correlazione con la fase luteale, che dipenda dall’attività del corpo luteo e in particolare dal progesterone da esso prodotto; sembra inoltre che vi sia una alterata sensibilità dell’organismo ai livelli di steroidi circolanti anche a valori normali. Sintomi quali ansia, depressione, tensione emotiva sono correlati ad un alterato metabolismo di quelle sostanze (le monoamine) implicate nella trasmissione di segnali nel sistema nervoso centrale per il tono dell’umore.
Solitamente la sintomatologia non è così grave da richiedere un trattamento specifico: la sindrome è, in tal caso, facilmente riconosciuta, anticipata e contrastata dalla paziente stessa. Per alcune donne, invece, il problema è abbastanza grave da influire sul lavoro, sulla vita quotidiana di coppia e sulle relazioni sociali. In queste circostanze è utile un approccio terapeutico mirato che va individualizzato a seconda delle particolari esigenze della paziente.
Nella valutazione della gravità dei sintomi e dell’efficacia della terapia occorre inoltre considerare il ruolo di alcuni fattori psicologici. Alcuni trattamenti farmacologici determinano infatti dei benefici a breve termine ma spesso non danno sollievo per più di qualche mese, a causa del cosiddetto “effetto placebo”. Il placebo è un trattamento in realtà inefficace che, però, ha degli effetti psicologici o meglio psiconeuroendocrini, e quindi determina un miglioramento della sintomatologia soggettiva.
In molti casi un semplice cambiamento nella dieta e nello stile di vita rende i sintomi premestruali più sopportabili. Da questo punto di vista, alcuni comportamenti virtuosi possono sicuramente essere:
Le possibili strategie terapeutiche contro la sindrome premestruale prevedono l’utilizzo di farmaci come la pillola estroprogestinica, che sopprimono l’attività ovarica e dunque bloccano l’ovulazione e impediscono la formazione del corpo luteo, e farmaci che riducono la sintomatologia. Tra questi ultimi possiamo indicare ad esempio:
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