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Malattia infiammatoria pelvica (PID): diagnosi e terapia

Per evitare conseguenze sulla fertilità, la diagnosi di PID lieve, moderata o severa è importante. Focus sulla laparoscopia come strumento di diagnosi e trattamento.

4 Luglio 2018

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Nella maggior parte dei casi il quadro clinico della malattia infiammatoria pelvica è incerto: la presenza di sintomi (soprattutto dolore pelvico) e segni (come la febbre, l’elevazione degli indici di infiammazione nel sangue, la presenza di tumefazioni a livello di tube e ovaie evidenziabili all’esame ecografico) rende probabile la diagnosi con una variabilità che oscilla dal 60 al 95%.

L’unico strumento diagnostico accurato è la laparoscopia

Si tratta di un intervento chirurgico che richiede l’ospedalizzazione e l’anestesia generale e che ha una serie di rischi, quindi ragionevolmente proponibile alle pazienti giovani, senza figli, nelle quali la diagnosi tempestiva e la migliore terapia sono essenziali per preservare la fertilità futura.

La malattia infatti può essere classificata solo con la laparoscopia in tre stadi:

  • Lieve: eritema, infiammazione delle tube in assenza di aderenze con pervietà e mobilità tubarica conservata
  • Moderata: infiammazione con secrezione purulenta proveniente dalle tube (peritonite), aderenze pelviche fresche e pervietà tubarica incerta
  • Severa: ascesso tubarico o tubo-ovarico o tubo-ovarico-intestinale

Questa classificazione consente di formulare una prognosi sulle potenzialità riproduttive della donna: pazienti con PID moderata hanno più probabilità di rimanere fertili di quelle con malattia severa. Inoltre la severità del danno alle tube (in termini di pervietà e mobilità) non è correlata con la severità delle manifestazioni cliniche su cui si basa invece la decisione di quali pazienti ospedalizzare e quindi trattare con terapia chirurgica o medica (laparoscopia e/o antibiotici).

Questo significa che le pazienti con quadro clinico modesto (soprattutto per salpingiti da Clamydia trachomatis) che si presentano all’osservazione tardivamente hanno spesso in realtà  alterazioni tubariche più severe (fino all’occlusione e conseguente infertilità ) rispetto alle pazienti che vengono ospedalizzate d’urgenza con segni di peritonite, in cui è la stessa manifestazione clinica a suggerire che la pervietà tubarica è ancora conservata ed è responsabile della diffusione del pus verso la pelvi e l’addome.

Le conseguenze della PID non diagnosticata e trattata

Proprio nelle situazioni con modesta sintomatologia la laparoscopia riveste un ruolo di grande importanza per evitare inevitabili severi esiti riproduttivi. Una donna su quattro che ha avuto un episodio di PID acuta va incontro a sequele a lungo termine. Comunemente si tratta di:

  • Infertilità
  • Gravidanze extrauterine
  • Dolore pelvico cronico

L’infertilità viene definita dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come l’incapacità di una coppia di procreare dopo due anni di rapporti sessuali regolari non protetti. Nel caso della PID, l’infertilità è correlata al tipo di danno tubarico causato dalla malattia, che può essere un’occlusione o aderenze che impediscono la motilità della tuba.

Il 90% delle gravidanze extrauterine (GEU) è rappresentato da gravidanze tubariche, il cui più importante fattore di rischio è il danno causato da un’infezione, proprio come nel caso della PID; il meccanismo ritenuto responsabile è l’interferenza del trasporto dell’ovocita attraverso le tube o l’intrappolamento dell’uovo fecondato per le microlesioni tubariche. Donne che hanno avuto un episodio di salpingite acuta (cioè infiammazione/infezione tubarica) hanno un rischio di gravidanza extrauterina da 6 a 10 volte maggiore, inoltre il 20-40% delle donne che hanno avuto una GEU non sarà più in grado di concepire, mentre il 20% andrà incontro ad un’altra GEU.

Il dolore pelvico cronico è un dolore persistente per periodi superiori a 6 mesi con esacerbazione in fase pre-ovulatoria e premestruale. Può essere causato da aderenze che intrappolano l’ovaio e rendono difficoltosa la modificazione del suo volume in relazione alle fasi del ciclo (per esempio durante l’ovulazione) o più facilmente da aderenze che interessano segmenti di anse intestinali causando dolore in relazione alla motilità intestinale stessa. Infine può dipendere da un’idrosalpinge, cioè da una dilatazione persistente della tuba in cui si raccoglie del liquido sieroso.

La terapia della PID: antibiotici e laparoscopia

Lo scopo del trattamento della PID è l’eliminazione dell’infezione acuta e la prevenzione delle sequele. L’antibioticoterapia risolve la sintomatologia acuta, ma non evita la formazione di spesse aderenze fibrose difficilmente compatibili con una futura fertilità. Dato che i batteri che scatenano l’infezione possono essere vari e diversi, è raccomandato l’impiego di una associazione di antibiotici a largo spettro secondo vari schemi a seconda che si scelga un trattamento ambulatoriale o uno in regime di ricovero ospedaliero.

Le procedure chirurgiche attuabili in laparoscopia invece permettono alle difese dell’ospite di controllare più efficacemente l’infezione, consentendo migliori esiti a distanza rispetto alla sola terapia antibiotica.

La laparoscopia consiste nell’introduzione attraverso l’ombelico e attraverso due piccole incisioni di 5-10 mm appena sopra il pube di un’ottica e di strumenti chirurgici che consentono di mobilizzare gli organi pelvici, visualizzare l’intera cavità addominale e l’apparato genitale, eseguire biopsie, lisi di aderenze, drenaggio e aspirazione di raccolte purulente, asportazione di tube e/o ovaie lesionate gravemente o in caso di ascessi tubarici recidivanti.

Nelle pazienti desiderose di gravidanza è possibile proporre una laparoscopia di controllo a distanza di 2-4 mesi per accertare l’avvenuta guarigione del processo infiammatorio, fare un bilancio esatto delle sequele aderenziali e testare la pervietà delle tube.

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